“Zecche rosse, comunisti, delinquenti, criminali da centro sociale”. Dovremmo esserci abituati al linguaggio del Ministro Matteo Salvini, ormai. E non dovremmo più stupircene. L’insulto – anzi, l’incitamento all’odio – in politica paga, sempre di più. Non da oggi, certo. Ma oggi, come dimostra l’esito delle elezioni negli Stati Uniti, si ha l’impressione che qualsiasi limite sia stato superato: che sia normale per chi ricopre o aspira a cariche istituzionali usare espressioni d’odio dirette verso questo o quel bersaglio, senza filtri e senza mezzi termini, facendole anzi diventare la cifra della propria comunicazione. E normalizzandone l’uso a reti unificate: “sdoganandole”, si sarebbe detto un tempo.
C’è chi scrive – con argomenti però non supportati da evidenza – che sia una prevedibile reazione agli ‘eccessi’ di “politicamente corretto”, “cancel culture”, e “wokenism”, senza peraltro definire queste espressioni, limitandosi a facili accuse generiche. A noi pare piuttosto il contrario: proprio perché non c’è alcun interesse a trovare un codice capace di negoziare appartenenze e rivendicazioni facilitando la convivenza plurale ed evitando le polarizzazioni, e non c’è nessuna correttezza verso quella polis composita che si dovrebbe rappresentare né alcun rispetto per le istituzioni di cui si dovrebbe essere portavoce e garanti, si può dire tutto senza ritegno. Gettare lì un insulto, un’espressione d’odio, una minaccia, da una posizione monologante che non prevede replica o confronto. Non per vedere l’effetto che fa, quindi. Ma proprio perché si sa quale effetto ha: individuare dei bersagli, additarli all’opinione pubblica come un obiettivo da colpire, rimuovere, abbattere.
Ed è proprio questo che (ancora) ci stupisce, ci indigna profondamente. Perché cogliamo, in questo, i segni non solo di un pesante abbruttimento di linguaggi e stili – che può contare su un repertorio ben collaudato di stilemi ed espressioni denigranti e deumanizzanti su cui non grava più alcun stigma sociale – ma anche un continuo gettare benzina sul fuoco: secondo un’azione concertata che ha l’obiettivo di criminalizzare e silenziare qualsiasi opposizione e dissenso. E di far passare il discorso d’odio come un normale registro della comunicazione politica.
Così, nel giorno in cui “zecche rosse” – insulto spregiativo ben radicato nel lessico della destra neofascista, e normalizzato dal Ministro e del suo potente apparato di propaganda almeno fin dai tempi del linciaggio a mezzo social e a mezzo stampa di Carola Rackete, come dimostra il Barometro dell’odio 2020 “Sessismo da tastiera” – viene rimbalzato da dichiarazioni, editoriali, titoli di giornali (“Il PD alleva zecche rosse”, si leggeva ieri nella prima pagina di “Libero”), Roberto Saviano viene insultato con “sciacallo” dal sito del partito di maggioranza per aver denunciato “il fallimento del modello Caivano”, e la giudice Silvia Albano e i suoi colleghi della sezione immigrazione del tribunale di Roma continuano a essere bersaglio di attacchi delegittimanti solo per voler applicare la Costituzione nel caso delle deportazioni in Albania. Attacchi che oggi arrivano anche da Elon Musk, che interviene direttamente nello scontro tra governo italiano e magistrati scrivendo di questi su X-Twitter “se ne devono andare”, eccitando migliaia di commenti d’odio nei loro confronti. Senza dimenticare la recente sospensione dal lavoro, a stipendio dimezzato, di Christian Raimo, per aver criticato – fuori dai locali scolastici – l’ideologia e le parole del Ministro dell’Istruzione e del Merito Valditara.
In un contesto già fortemente caratterizzato da hate speech, aggressioni, e restrizione della libertà di espressione, ci si aspetterebbe che chi ricopre cariche istituzionali tenti quanto più possibile di prevenire tensioni, non di alimentarle. Ma in un paese dove è la stessa politica a fomentare discriminazioni e a mettere i diritti umani sempre in secondo piano – lo dice il rapporto dell’ECRI appena pubblicato – accade esattamente il contrario, con disarmante normalità. E questo ci spaventa: come non potrebbe?
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