“Ipnocrazia”. Lo chiama (efficacemente) così questo nostro tempo il filosofo e teorico dei media Janwei Xun, di cui è da poco stato pubblicato in Italia Ipnocrazia. Trump, Musk e la nuova architettura della realtà (TLON Edizioni, traduzione dall’inglese di Andrea Colamedici). Un tempo in pieno svolgimento, nel quale i nuovi ‘regimi’ non si accontentano più di contrabbandare fake news, o far circolare post-verità, ma vogliono – e riescono – a manipolare del tutto le nostre percezioni trasformando radicalmente il nostro rapporto con la realtà. Modulando desideri, colonizzando l’inconscio – sostiene Xun – e tramortendo di continuo i nostri sensi e il nostro immaginario. Imponendo quindi “narrazioni ipnotiche” che spostano sempre un po’ più in alto l’asticella del possibile, giorno per giorno, trovandoci così impreparati, impotenti nel voler cercare risposte razionali a provocazioni che con la ragione hanno poco a che fare. Come Il videoclip su “Trump Gaza” prodotto dall’Intelligenza Artificiale e twittato da Trump dalla sua pagina ufficiale: talmente brutale, assurdo, fuori misura da lasciare senza parole, sbacalit*, smarrit* (“ma davvero?!”), da stordire con la sua pacchiana violenza, con il suo carico di disprezzo e derisione della tragedia in corso in quel pezzo di mondo.
Commentando il video nella sua pagina Facebook, Arianna Ciccone di “Valigia Blu” scrive (giustamente) che non c’è nulla di folle in tutto questo: è messaggio, strategia, marketing allo stesso tempo. Per imporre una realtà parallela, e schiacciarci nell’incredulità o al massimo in una rassegnata indignazione che fa esattamente il gioco di chi queste cose veicola. Attraverso stili e pratiche di spregiudicata onnipotenza ma anche – verrebbe da aggiungere – per mezzo di un nuovo livello di discorso d’odio: mitomane, revanchista, maggioritario: nel senso che viene presentato come codice voluto e assimilato dalla maggioranza (dell’elettorato), in irriducibile ricerca di nemici della volontà popolare (migranti, richiedenti asilo, minoranze, persone LGBTQI+, élite democratiche, residui di resistenza, civil servant, ecc.) da esporre ad attacchi feroci, marginalizzare, ridurre al silenzio.
Non è questa la sede per tentare di capire quanto questo cambio di paradigma, quanto questa svolta epocale nella comunicazione e nell’azione politica della nuova amministrazione americana già influisca tanto sulle strategie geopolitiche e sulla redistribuzione di poteri a livello globale, quanto sulle nostre vite al di qua dell’Atlantico. Di certo ha già avuto un impatto (anche da noi) sulla direzione che prenderà la gestione delle social media platform, sempre più legittimate a svincolarsi da meccanismi di moderazione dei contenuti e di prevenzione dei discorsi d’odio; sui rapporti di forza tra istituzioni sovranazionali (l’UE) e i proprietari dei grandi provider privati (il cui obiettivo vero, a traino della svolta anti-europeista dell’amministrazione USA, è la mancata applicazione del Digital Services Act, l’imperfetto ma necessario pacchetto di norme che dovrebbe regolare il mercato dei servizi online in Europa e fornire una serie di paletti al business model delle piattaforme); last but not least, sui frame discorsivi dominanti, che richiedono analisi approfondite ma appaiono anche, al contempo, sempre più inscalfibili.
E allora, che fare? Se è vero che siamo sotto ipnosi, come uscirne?
Sarebbe troppo facile (e bello) avere la certezza di qualche risposta fin da ora. Da parte nostra, ci affidiamo sia all’approfindimento di fenomeni e dinamiche (mai come ora servirebbe capire che cosa sia diventata la nostra vita onlife, che cosa significhi il passaggio da echo-chamber a echo-platform, come reagire alla frammentazione delle narrazioni e la tailorizzazione dei messaggi da parte dell’IA), sia a proporre un’agenda altra, non succube di processi che non siamo in grado di controllare, o di frame e stili eterodiretti, ma ricca invece di vissuti, di ‘tavoli’ e pratiche di convivenza, di domande che arrivano dai territori senza troppi filtri, di voci e bisogni diversi, di argini alle discriminazioni e di difesa strenua, ferma, convinta, dei diritti di tutt*.
Vanno in questa direzione le tante nostre iniziative in giro per l’Italia (e non solo), la costituzione di zone d’ascolto e di reti di soggetti della società civile, il supporto a battaglie per noi chiave, come quella per la riforma della legge sulla cittadinanza, il dialogo col Consiglio d’Europa sulla condivisione di buone pratiche attraverso scambi transnazionali, la formazione di addett* ai servizi pubblici per prevenire le discriminazioni, la collaborazione con scuole e università per raccogliere sfide educative al passo con le inquietudini e le risorse di docenti e studenti, le nostre campagne di informazione e di sensibilizzazione.
Forse non cambieremo così il mondo: non subito, non ora, intendo, con questi ‘padroni del vapore’ al comando. Ma intanto raccogliamo preziose istantanee di volti, aspirazioni, gesti di speranza che rafforzano la coesione sociale e ci concedono orizzonti. E di persone che non si arrendono a verbo unico dei (pre)potenti: alla neolingua di un Trump che cancella parole per cancellare identità e invisibilizzare vite, di un Milei che si fa vanto di riproporre termini e stereotipi abilisti da decenni sotterrati dalla scienza prima ancora che dalla sensibilità e dalla tanto vilipesa “correttezza politica”, di un Sechi qualsiasi che plaude al “costruttore” Trump commentando il video su Gaza come se fosse la normale pubblicità di un’impresa edile. La neolingua di quell* che “insomma: basta con queste ossessioni woke” e intanto – guarda caso – partono proprio dal linguaggio per ridisegnare la realtà e le sue interpretazioni. Per stordire, anestetizzare, ipnotizzare.
Ma l’ipnosi va spezzata, si può e si deve spezzare. La rassegnazione – oggi più di ieri – non può, non deve prevalere. O almeno è questo ciò che ci anima: ciò che, insieme a chi ci sta, vogliamo continuare a dire, e a testimoniare.
Federico Faloppa, Coordinatore della Rete