a cura di Monica Gazzola, coordinatrice gruppo Advocacy della Rete
La Camera dei deputati, il 18 settembre 2024, con 162 voti favorevoli, 91 contrari e tre astenuti, ha approvato il disegno di legge di iniziativa governativa “Disposizioni in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario” (AC. 1660-A), c.d. decreto sicurezza.
Il testo era stato presentato dal Governo alla Camera il 22 gennaio 2024, e fin da subito si erano levate molte voci di allarme e critica da parte di associazioni e istituzioni, con severe prese di posizioni anche in sede di audizioni.
Anche l’Osce (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) aveva lanciato un preoccupato allarme sulla deriva liberticida del disegno di legge.: «La maggior parte di queste disposizioni ha il potenziale di minare i principi fondamentali della giustizia penale e dello Stato di diritto».
Tutto ciò non ha impedito la sua approvazione, senza sostanziali modifiche.
Il disegno di legge introduce ben tredici nuovi reati, più numerose aggravanti e aumenti di pena edittale, in un disegno complessivo che appare diretto a criminalizzare le persone in condizione di marginalità sociale (persone immigrate, detenute, senzatetto, minoranze) e a vietare e punire ogni forma di manifestazione e dissenso, anche pacifica e non-violenta.
Un panpenalismo autoritario e fortemente discriminatorio, che fa leva e strumentalizza la paura delle persone, assecondando e istigando razzismo, xenofobia e emarginazione dei più fragili.
Particolarmente ripugnante è la previsione del carcere per le donne in stato di gravidanza o con bambini molto piccoli. Una norma finalizzata a reprimere un particolare gruppo sociale, connotato sul piano culturale ed etnico, ossia le donne rom, da anni bersaglio di una cinica propaganda politica e mediatica.
Vergognosamente crudele e immotivatamente punitiva è poi la norma che proibisce alle persone immigrate che ancora non hanno un permesso di soggiorno di acquistare una scheda sim: si impedisce così a chi ha affrontato lunghi e travagliati viaggi perfino di avvisare i parenti del proprio arrivo, o semplicemente di interagire attraverso lo strumento ormai di base per ogni possibilità di inserimento sociale – anche per poter informarsi e attivarsi per presentare la richiesta di un permesso di soggiorno!
Viene poi introdotto con l’art.634 bis c.p. un nuovo reato di occupazione di immobili “destinati a domicilio altrui”, privati o pubblici. Previsione delittuosa che in realtà è già sostanzialmente contenuta nel codice penale agli artt.633 e 633 c.p. (“invasione di terreni o edifici”). La nuova norma pare quindi più diretta a una enfatizzazione e focalizzazione sul (presunto) allarme per episodi di occupazione abusiva da parte di persone in gravi difficoltà economica e sociali, con la previsione di una pena altissima – da due a sette anni.
Alla criminalizzazione e discriminazione delle categorie sociali più fragili ed esposte, si accompagna la criminalizzazione di ogni forma di protesta e dissenso, anche nella forma della resistenza passiva e del sit-in.
In primo luogo, il Governo-Legislatore vieta ogni forma di protesta, anche non-violenta, a tutte le persone in stato di restrizione della libertà personale – che siano detenute in carcere ovvero immigrate in centri di accoglienza o di rimpatrio. Viene infatti introdotto con l’art. 415-bis c.p. (rubricato “rivolta all’interno di un istituto penitenziario”) il nuovo reato di rivolta penitenziaria, che punisce con pene altissime anche chi mette in atto esclusivamente una resistenza passiva, equiparando le proteste violente con quelle non violente.
Identica previsione viene introdotta in tema di “rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti” all’interno del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, vietando e punendo con pene elevate anche la resistenza passiva agli ordini impartiti in un centro di accoglienza o un centro di permanenza per il rimpatrio (CPR).
Le persone detenute e le persone straniere vengono così, ancora una volta, considerate e additate quale categoria sociale fonte di problemi, da reprimere e silenziare. A fronte di un numero sempre più alto di suicidi nelle nostre carceri (se ne contano più di 70 dall’inizio dell’anno), di persone dimenticate e abbandonate nei centri per immigrati, di sovraffollamento e condizioni disumane, l’unica risposta data dal Governo è quella ulteriormente punitiva, addirittura nei casi di protesta pacifica e non-violenta.
Ma non basta. Il disegno di legge vieta e punisce le proteste e manifestazioni, anche non violente e anche se attuate in forma di resistenza passiva, poste in essere da singoli, gruppi e associazioni. In particolare, si prevede la punibilità a titolo di reato del cd. “blocco stradale” (prima punito come illecito amministrativo), ossia la condotta di chi ostruisce la circolazione con il proprio corpo, con aumento di pena se il fatto è commesso da più persone riunite. La norma si collega con l’introduzione di un’aggravante nei casi in cui le condotte siano commesse al fine di impedire la realizzazione di un’opera pubblica o di un’infrastruttura strategica. Appare evidente che tali norme sono dirette a colpire categorie specifiche di manifestanti, quali ambientalisti e chi si oppone alle c.d. grandi opere.
Fa da corollario l’introduzione di aggravanti speciali (ossia che comportano un aumento di pena che non può essere superato da una circostanza attenuante) per i reati di violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale, nel caso siano commessi nei confronti della polizia giudiziaria o di pubblica sicurezza. Poliziotti che vengono autorizzati dal medesimo disegno di legge a portare con sè le armi anche fuori dal servizio.
Il testo approvato dalla Camera affronta il delicato tema della sicurezza solo in termini di proibizioni e punizioni, esasperando tensioni sociali e aizzando e giustificando odio e marginalizzazione. Paiono profilarsi numerosi profili di incostituzionalità, per violazione in particolare dell’art.21 che tutela la libera manifestazione del pensiero, dell’art.3 che sancisce il principio di eguaglianza e non discriminazione, dell’art.27 che prevede la finalità rieducativa della pena.
Come Rete nazionale di contrasto ai discorsi e fenomeni d’odio, chiediamo che il passaggio al Senato il testo, così come licenziato dalla Camera, non venga approvato, e si apra invece un serio confronto, anche con le rappresentanze della società civile impegnate nel sociale, per affrontare seriamente il tema della sicurezza sociale a partire dall’attuazione dei doveri di solidarietà politica, economica e sociale sanciti dall’art.2 Costituzione, e ricordando il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando la libertà e l’eguaglianza dei cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana, secondo il dettato dell’art.3 della nostra Costituzione.