“Chi è senza peccato scagli la prima pietra”. Sono passati oltre duemila anni dal giorno in cui il Rabbi venuto da una terra oggi martoriata pronunciò questa celebre frase. Eppure, ancora oggi, l’adulterio scatena reazioni collettive violente, che talvolta sfociano appunto nel linciaggio, quanto meno mediatico.
Mi chiamo Maria Ferrandi, sono una studentessa di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Bologna e sto svolgendo il mio tirocinio nella Rete. Sono anche una consulente ed educatrice sessuale e per questo motivo mi interesso di numerose tematiche legate all’ambito della sessuo-affettività. Vorrei approfondire con voi il rapporto tra l’hate speech e il tradimento, sperando di innescare una riflessione e un dibattito.
Quando si parla di Hate Speech si fa riferimento all’incitamento alla denigrazione, all’odio o alla diffamazione nei confronti di una persona o di un gruppo di persone che vengono sottoposte a soprusi, molestie, insulti, stereotipi negativi, stigmatizzazione o minacce. Se ciò succede tipicamente a causa del colore della pelle, della religione o dell’orientamento sessuale, non mancano situazioni in cui l’hate speech si scatena a seguito di un comportamento ritenuto socialmente “inaccettabile”, come il tradimento in una dinamica di coppia.
Per questo motivo, è lecito chiedersi se e in che misura l’hate speech rappresenti non solo il portato, ma anche un fattore costitutivo dello stigma sociale assegnato dalla nostra società al tradimento. Come accennato, il tradimento provoca da sempre ondate di indignazione e la carica emotiva negativa associata a questi eventi determina una polarizzazione delle posizioni (e del linguaggio) che rende difficile affrontare l’argomento nella sua complessità.
È indubbio che il tradimento evochi di per sé un significato già prescritto di doppiezza, immoralità e perfidia: è infatti il segnale per eccellenza della violazione del patto di fiducia instaurato tra i due partner. Ma è corretto applicare questa chiave di lettura a tutti i tradimenti, che pure si verificano in contesti relazionali molto differenti? E perché, invece, i tradimenti sono rappresentati sempre nello stesso modo? Si può davvero identificare sempre una vittima e un carnefice?
Per rispondere al meglio ai nostri quesiti, ho pensato di intervistare alcuni professionisti che ci aiutino ad apprezzare i fattori di natura psicologica, sociologica e comunicazionale che condizionano le nostre risposte emotive al tema del tradimento. Solo in questo modo, avremmo la possibilità di strutturare insieme una contronarrazione efficace opposta all’hate speech, che possa risultare più coerente con il vissuto di ciascuna coppia e ciascuna persona.
La nostra prima intervista è rivolta a Michele Mezzanotte, psicoterapeuta e autore di numerosi libri come “Essere un padre” (2016) e “Il vero amore (non) è un mito” (2023).
Cosa si intende per tradimento?
La definizione di tradimento in psicologia è abbastanza semplice. L’etimologia significa “condurre altrove” perciò il tradimento è un andare oltre o, come diceva Carotenuto in “Amare Tradire” (1991), un rivoluzionare. In molti casi, infatti, risulta una rivoluzione sia dal punto di vista relazionale che individuale perché permette di capire che c’è qualcosa che non va e avere l’opportunità di fare qualcosa. La definizione “pop” invece ha legato il tradimento a emozioni esclusivamente negative: pensa se invece di “tradimento” dicessimo “innamoramento” come accade in realtà nel 90% delle volte in cui si tradisce. Molte meno persone si permetterebbero di giudicare.
Inoltre, esistono anche molti modi di tradire e motivi che ci portano a farlo. Silvia Di Lorenzo in “Il teatro della coppia” (2006) differenzia il tradimento di sviluppo emotivo, che avviene perciò prima di un incontro carnale e fa riferimento a quando la coppia diventa asimmetrica nei suoi desideri, e quello di sviluppo carnale, sessuale che spesso è comunque intrecciato a quello emotivo.
Come mai, secondo lei, siamo così terrorizzati dall’essere traditi?
Ciò che ci porta ad essere terrorizzati dal tradimento, in realtà, è la nostra inconsapevolezza. Nella mia carriera, ho avuto modo di interfacciarmi con molte coppie e tutte le coppie hanno un “punto di tradimento”. E se tu ne sei consapevole, sai precisamente dove puoi tradire o essere tradito. Se invece ne sei inconsapevole, che non è una colpa, è molto più frequente che il tradimento arrivi all’improvviso e solo allora fa scattare una riflessione su qualcosa che magari poteva essere curato meglio all’interno della coppia. Non si tradisce mai da soli, ma sempre in due.
Pensando anche a tutti i tradimenti mediatici e come vengono presentati dai giornali di gossip e non solo, come mai c’è una reazione esterna così polarizzata tra vittima e carnefice che spesso attiva un linguaggio d’odio?
In teoria, sulla carta ci sono sempre traditi e traditori. Ciò che crea la polarizzazione o lo schieramento è l’ignoranza della dinamica del tradimento: come dicevo prima, così come si creano e risolvono i problemi in due, si tradisce anche in due. E questa è una verità molto scomoda che tuttavia, se ne prendiamo atto, permette di non reagire in una maniera giudicante e polarizzata. Colui che d’eccellenza subisce più linguaggio d’odio è sicuramente la persona che tradisce. Questo accade perché è tendenzialmente la persona che cambia e non sempre il cambiamento è ben accetto perché porta ad uno sconfinamento della zona di confort. Il giudizio fa in modo di sfogare un determinato odio e rimettere in ordine il cambiamento.
Le testate giornalistiche cavalcano moltissimo la dinamica dello schieramento: devono sempre creare ambiguità per creare una frattura, una notizia. Solo se c’è bipolarismo possono attirare l’attenzione. Sanno esattamente che presentare le notizie di tradimento in modo polarizzato attiva le ombre di ognuno e in questo modo le persone scattano più facilmente.
Per concludere, rifacendosi anche al pensiero di Otto Rank, Michele Mezzanotte ritiene che tutto sia un continuo tradire. A volte il tradimento sottende ogni dinamica relazionale basandosi proprio sulla scelta tra tradire sé stessi o l’altra persona. Per questo motivo, dovremmo scoprire le nostre ombre, riconoscerle e imparare a condividerle nel nostro legame con gli altri e soprattutto di coppia. Solo iniziando a non valutare più il tradimento come la causa ma come un sintomo della dinamica di coppia, possiamo attivare una riflessione più ampia dell’accaduto così da uscire dai soliti pregiudizi e dinamiche di odio.
La prossima tappa del nostro viaggio sarà un’intervista alla scrittrice e attivista Stella Pulpo.