Comprendere e contrastare le parole d’odio contro le persone immigrate e straniere
a cura del Gruppo Advocacy
Istituzioni, esponenti politici e media puntano sempre più l’attenzione sulle persone immigrate e straniere, enfatizzando notizie di cronaca, diffondendo valutazioni allarmistiche e proponendo misure legislative sempre più criminalizzanti e discriminatorie. Narrazioni tossiche regolarmente riprese e rilanciate nei social, alimentate da un lato da ciniche strategie propagandistiche, dall’altro da ampie stratificazioni di ignoranza e pregiudizio.
Come Rete nazionale di contrasto ai discorsi e fenomeni d’odio, proviamo a fare un po’ di chiarezza, offrendo alcuni strumenti linguistici e valutativi di base – per conoscere, capire e uscire dalle strumentalizzazioni d’odio.
Perché è sbagliato il termine clandestino
Il termine “clandestino” denota una situazione di illegalità, mentre molte delle persone immigrate in Italia si trovano nella condizione di richiedenti asilo o di poter regolarizzare la propria posizione.
Come evidenzia Carta di Roma, “clandestino” contiene un giudizio negativo aprioristico, suggerisce l’idea che una persona migrante agisca al buio, di nascosto, come una persona di malaffare. È un termine giuridicamente sbagliato per definire chi tenta di raggiungere l’Europa e non ha ancora avuto la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale, e chi invece ha fatto la richiesta ed è in attesa di una risposta (migranti / richiedenti asilo); ed è un termine giuridicamente sbagliato anche per definire chi ha visto rifiutata la richiesta d’asilo e ogni altra forma di protezione. Il termine “clandestino” è una delle colonne portanti dei discorsi di odio, dell’hate speech, a livello politico, istituzionale e sociale: stigmatizza la persona immigrata o straniera come delinquente, una persona di cui avere paura, fomentando così repulsione, rabbia e violenza. E’ quindi da evitare in tutte le narrazioni, in particolare in quella istituzionale e giornalistica, perché offre e rimarca una visione distorta del fenomeno migratorio. Quando è necessario indicare caratteristiche legate all’immigrazione, meglio utilizzare o il termine esatto (si veda il glossario più oltre), oppure un generico “persone immigrate” o “migranti”.
Perché è sbagliato enfatizzare la nazionalità nei fatti di cronaca
Utilizzare la nazionalità in tutti i fatti di cronaca in cui sono coinvolte persone di origine straniera, anche cioè nei casi in cui il dato è assolutamente irrilevante rispetto alla notizia, contribuisce a creare un clima di ostilità e di odio verso altri gruppi nazionali. Come sottolinea Carta di Roma, le informazioni relative al paese di provenienza, alla religione, all’etnia, alla condizione di migrante o di persona rifugiata devono essere utilizzate se pertinenti per la comprensione della notizia. Scrivere per esempio «Nord africano arrestato per un furto» implica attribuire alla appartenenza a un’area geografica un ruolo nella comprensione della notizia e di conseguenza contribuisce a collegare un crimine ad una determinata nazionalità, alla diffusione di stereotipi, in una parola alla diffusione dell’odio. Meglio utilizzare nome e cognome e/o la professione o attività svolta.
Le parole per capire
“Richiedente asilo”: così si definisce chi è fuori dal proprio paese e presenta, in un altro Stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato/a in base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale. Spesso le persone che richiedono asilo entrano nel territorio in modo irregolare, ma dal momento in cui presentano la richiesta sono regolarmente soggiornanti e quindi non possono essere rientrare nella definizione di irregolari né tantomeno di persone clandestine.
“Rifugiato/a”: la definizione è data dall’art.1 della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status delle persone rifugiate, di cui l’Italia è uno dei 147 Paesi che l’hanno firmata. Secondo questa definizione chi chiede rifugio è una persona che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese”. Lo status di rifugiato/a viene quindi riconosciuto alle persone che si trovano nella condizione prevista dalla Convenzione, cioè a chi ha un ragionevole timore di poter essere, in caso di rimpatrio, vittima di persecuzione.
“Migrante irregolare”: dal punto di vista tecnico-giuridico così si definisce lo straniero (non cittadino UE) che: a) ha fatto ingresso eludendo i controlli di frontiera, senza valido titolo di ingresso (es. visto); b) chi è presente nel territorio dello Stato privo dei titoli richiesti ex lege di ingresso e soggiorno (es. visto, permesso di soggiorno); c) chi non ha lasciato il territorio del paese di destinazione a seguito di un provvedimento di allontanamento. La situazione di irregolarità si riferisce, dunque, non alla persona, ma all’ingresso o al soggiorno di quest’ultima nel territorio dello Stato. Si propone l’utilizzo di persona straniera priva del titolo di ingresso e soggiorno, oppure persona straniera soggiornante in modo irregolare.
Le false narrazioni
- “Le carceri sono piene di immigrati e stranieri”. Falso. Erano 17.987 le persone detenute straniere presenti nelle carceri italiane al 15 giugno 2023, pari al 31,3% del totale della popolazione detenuta. Erano oltre il 37% quindici anni fa. Tale percentuale è stata in sostanziale calo continuo da allora a oggi. Inoltre, c’è un’altra percentuale in calo sostanziale che ci fornisce un’informazione ancor più rilevante di questa: è quella che riguarda il tasso di detenzione delle persone straniere, ovvero la loro incidenza sul totale della popolazione straniera presente sul territorio nazionale. Se all’inizio del Millennio le persone straniere in carcere costituivano l’1,1% della popolazione straniera censita in Italia, tale percentuale si attesta oggi sullo 0,3%, quasi quattro volte di meno. (fonte: elaborazione ANTIGONE su dati del Ministero della Giustizia).
- “La maggior parte dei crimini è commessa da immigrati e stranieri”. Occorre distinguere: se è vero che le persone straniere prive di un titolo valido di soggiorno denunciate sono quasi 33 volte in più di quelle italiane accusate di un reato, le persone immigrate regolarmente soggiornanti sono denunciate 1,5 volte. Il problema non si ha con la comunità straniera regolarmente residente, che delinque di fatto quanto le persone italiane, bensì con chi è senza permesso di soggiorno nel nostro Paese. Inoltre, la statistica si riferisce a tutti i reati, e per questo potrebbe anche essere parzialmente viziata dal reato di “immigrazione clandestina”, che prevede il divieto di ingresso e soggiorno “illegale” nel nostro Paese e viene generalmente punito con un’ammenda (fonte: elaborazione ISPI su dati del Ministero degli Interni).
- “C’è un’invasione di immigrati”. Falso: non esiste alcuna invasione di persone straniere in Italia. Infatti, il numero delle persone straniere residenti in Italia – immigrate o nate nel Paese – si è assestato, nell’ultimo quinquennio, sui 5 milioni (l’8,6% della popolazione). Di questi, all’inizio del 2022, sono 3.561.540 persone non comunitarie, delle quali il 65,8% ha un permesso di soggiorno di lungo periodo. Ammontano a circa mezzo milione le persone straniere prive di un valido titolo di soggiorno (fonte: Ispi – Istituto per gli studi di politica internazionale, e Dossier IDOS 2023).
- “C’è un’emergenza immigrati, non sappiamo dove mettere chi arriva” Falso: l’Italia nel 2022 ha ricevuto 77.000 richieste d’asilo, mentre la Germania ne ha ricevute 218.000, la Francia 137.000, la Spagna 116.000 (fonte: Eurostat 2023). La percezione distorta del numero di persone straniere presenti nel nostro paese dipende in gran parte dalle politiche di accoglienza: la c.d. ’“emergenza” è in realtà un fenomeno strutturale che dura ormai da anni e non dipende tanto dagli arrivi, quanto dall’assenza di volontà politica di voler garantire un’accoglienza idonea a chi chiede asilo. Si lasciano senza accoglienza e tutele le persone migranti, che spesso così si trovano a dormire all’aperto o in alloggi di fortuna, suscitando allarme sociale, nonostante vi siano posti e disponibilità. Da gennaio a marzo 2023 le richieste totali sono state 11.218 mentre gli inserimenti 6.482, ovvero il 57% del totale. Il sistema di accoglienza attualmente presenta oltre 2 mila posti non utilizzati. Alla fine del 2022 erano 108 mila le persone migranti inserite negli appositi centri (in crescita ma ben inferiori ai 184 mila del 2017), per i due terzi (66,8%, pari a 71.882 persone) concentrati nei Cas (Centri di Accoglienza Straordinaria), le strutture che dovrebbero, per definizione, essere “straordinarie”, e quindi riservate a situazioni emergenziali. A causa del progressivo ridimensionamento del sistema di accoglienza – dai c.d. Decreti Salvini del 2018 all’attuale c.d. Decreto Piantedosi – l’accesso al sistema Sai (Sistema di Accoglienza e Integrazione) è stato sempre più ridotto, costringendo un gran numero di persone richiedenti asilo a rimanere stipate nel sistema dei Cas, dove peraltro sono stati soppressi servizi essenziali, come l’apprendimento della lingua italiana, l’assistenza legale e psicologica (fonte: Open Polis 2023 e Action Aid 2023, Dossier 2023 Centro IDOS).
- “Gli immigrati rubano i posti di lavoro agli italiani”. Falso: le persone straniere che lavorano sono 2.374.000 e rappresentano il 10,3% del totale di quelle occupate. Di queste, 2.068.000 (l’87,1%) sono con contratto di lavoro dipendente. Tra le persone straniere occupate, il 29,9% svolge lavori per cui non è necessaria alcuna qualifica professionale, contro il 9,5% di quelle italiane. Il 61,4% delle persone straniere laureate svolge lavori di livello più basso rispetto al titolo conseguito (fonte: Rapporto CENSIS 2023). Come evidenzia il Rapporto IDOS sulle migrazioni 2023, sebbene nel 2022 il tasso di occupazione dei cittadini e delle cittadine straniere sia cresciuto, rimane invariata la segregazione occupazionale: le lavoratrici straniere maggiormente impiegate nei settori della cura e del lavoro domestico, i lavoratori stranieri impiegati soprattutto nell’industria e nell’edilizia. “L’Italia continua a occupare massivamente le persone straniere in attività manuali e a bassa qualifica, da cui derivano retribuzioni inferiori: i non comunitari dipendenti da aziende del settore privato percepiscono, secondo l’Inps, il 31,2% in meno della media nella stessa categoria (15.707 euro annui rispetto a 22.822)”. Le lavoratrici e i lavoratori stranieri, pur se sfruttati, contribuiscono in modo significativo all’economia italiana: nel 2021 il saldo tra spese (28,2 miliardi di euro) e introiti (34,7 miliardi di euro) dello Stato imputabili all’immigrazione ha segnato un guadagno per l’erario pubblico di 6,5 miliardi di euro, fortemente cresciuto rispetto al 2020 (circa 1 miliardo di euro in più) grazie alla ripresa post-pandemica dei settori in cui le persone straniere sono più impiegate.
Come Rete nazionale di contrasto ai discorsi e fenomeni d’odio, chiediamo l’impegno di tutta la società civile e delle istituzioni affinché il complesso e fondamentale tema delle migrazioni venga affrontato con competenza e attenzione per tutti gli interessi in gioco, senza strumentalizzazioni propagandistiche, e avendo sempre come punto di riferimento imprescindibile i principi fondanti la nostra Costituzione e i diritti fondamentali di ogni individuo.