Negli ultimi anni la Giornata della memoria sta diventando occasione di dare rilievo a una parte della storia rimasta per troppo tempo in secondo piano, se non del tutto ignorata. In questa parte della storia rientra lo sterminio dei sinti e dei rom durante il nazi-fascismo. La Giornata della memoria 2023, quest’anno, è stata preceduta da un evento importante, la posa della prima pietra d’inciampo dedicata ad un sinto. “Qui suonava Romano Held” – si legge ora in Piazza della Libertà a Trieste.
Sono diversi i soggetti che si sono adoperati per il riconoscimento di una memoria pubblica collettiva, tra cui l’Unione delle Comunità Romanès in Italia (Ucri) e l’Unione dei Giovani Ebrei d’Italia (Ugei), e i ricercatori Luca Bravi dell’Università di Firenze e Stefano Pasta dell’Università Cattolica di Milano. “La storia viveva nella comunità, ma non nello spazio pubblico comune. Nessuno aveva messo in relazione quel nome con la comunità di cui faceva parte. Fu arrestato perché sinto. La pietra che è stata posata a Trieste ha portato questa narrazione ad essere finalmente riconosciuta, proprio in Piazza Libertà dove la famiglia Held suonava” – ha commentato Bravi.
Ma quanti pezzi di storia ancora mancano all’appello?
E quanto questa storia che abbiamo trascurato, o che addirittura non conosciamo, è oggi fondamentale per costruire una società più inclusiva? Questo è proprio l’obiettivo del progetto RemAgainstDisc – Reinforcing historical memory of the Porrajmos to combating discrimination, ovvero ricostruire la memoria della persecuzione subita da rom e sinti durante il nazi-fascismo affinché le persone appartenenti a questa minoranza non subiscano più alcun tipo di discriminazione. RemAgainsDisc è stato finanziato nell’ambito del Citizens, Equality, Rights and Values Programme dell’Unione Europea, e ha visto impegnati Cild (Coalizione Italiana Libertà e i Diritti Civili), l’Università di Firenze, Sucar Drom e Associazione 21 Luglio. I risultati di questo progetto di ricerca storica sono visitabili nel museo virtuale Porrajmos.it. Il museo è ora consultabile nella sua versione aggiornata e ampliata, lanciata proprio poco prima del 27 gennaio.
Un percorso storico di voci, documenti e storie che vogliono costruire una memoria pubblica dello sterminio di 500mila persone, compresi bambine e bambini, durante il nazifascismo, tramite la raccolta di testimonianze orali, di mappe che rendano tramite la visualizzazione i luoghi dove sinti e rom sono stati confinati, deportati e internati e di tutti quei materiali che, scritti dai persecutori, segnalano azioni discriminatorie o di eliminazione fisica, e di pregiudizio. Non mancano inoltre quei documenti a cui siamo meno abituate e abituati, come scritti familiari, libri, poesie e diverse forme d’arte, ma in grado di fornirci uno sguardo intimo e che, insieme all’altra documentazione disponibile, contribuiscono a costruire una storia con la quale il nostro Paese non sembra ancora avere fatto i conti.
Secondo diversi studi l’Italia è il paese con i livelli di antiziganismo più alti in Europa. Una forma di discriminazione che tuttora si serve di stereotipi dannosi utilizzati durante il nazi-fascismo e sopravvissuti anche dopo la fine della seconda guerra mondiale. Come sottolinea Carlo Berini di Sucar Drom e presidente di Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni, la memoria è necessaria per capire perché ebrei e rom e sinti sono stati perseguitati su base razziale. L’antiziganismo è un pregiudizio su base razziale, biologica, culturale che, oggi come allora, colpisce le persone appartenenti alla minoranza sinta e rom con discorsi d’odio, stigmatizzazione, etnicizzazione del reato e del presunto reato, con violenza e discriminazione anche da parte delle istituzioni.