a cura del Gruppo Advocacy
Si è dato ampio risalto mediatico alla notizia della pubblicazione il 5 ottobre 2022 di una “Strategia Nazionale LGBT+ 2022-2025 per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere.”
Notizia purtroppo accompagnata – come spesso accade allorquando si parla di queste tematiche – da commenti faziosi, se non d’odio, da parte di esponenti politici e settori dell’opinione pubblica. In particolare, da più parti, si è criticato il (supposto) sperpero di risorse pubbliche in favore del c.d. politically correct e comunità rainbow, in un momento in cui si riducono invece le risorse le famiglie e alle attività commerciali.
Riteniamo importante evidenziare come, in realtà, la Strategia, non ancora approvata dal Consiglio dei Ministri, non conterebbe su fondi nazionali, ma su fondi europei già stanziati ed erogati richiesti dall’UNAR alla Commissione Europea, che ha adottato nel 2020 la LGBTIQ equality strategy 2020-2025, prima che il Governo Draghi nascesse: quindi nessuna risorsa è stata sottratta da manovre di sostegno a persone lavoratrici e famiglie.
Inoltre, non si tratta di una posizione ad iniziativa della politica interna, ma – come spesso accade – proviene da un’iniziativa del Consiglio d’Europa, nello specifico la Raccomandazione CM/Rec (2010) 5 del Comitato dei Ministri, che raccomanda agli Stati membri misure volte a combattere la discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere (Adottata dal Comitato dei Ministri il 31 marzo 2010 in occasione della 1081ª riunione dei Delegati dei Ministri).
Venendo al merito del documento, osserviamo quanto segue.
Per quanto concerne l’asserita partecipazione delle oltre 60 associazioni per i diritti lgbtqia+ che sarebbero state coinvolte, anche in questo caso, la notizia non è stata riportata per intero e contestualizzata: vero che esiste un Tavolo di consultazione permanente con le associazioni lgbtqia+ istituito da Vincenzo Spadafora, Sottosegretario di Stato alle Pari Opportunità durante il primo Governo Conte, altresì vero che la voce delle associazioni è stata solo in parte recepita nel testo, dandone una versione più soft rispetto a quelle che sarebbero state le, oramai storiche, rivendicazioni politiche e sociali provenienti dal tavolo.
Il testo, infatti, ricalca pedissequamente i temi di intervento del citato CM/Rec (2010) 5, ma è chiaro fin dallo specchietto introduttivo che qualcosa manca, come ad esempio la definizione di famiglia, e nello specifico di famiglia arcobaleno (ovvero quelle famiglia composta da figli/figlie e genitori dello stesso genere), che si trova solo come oggetto di protezione in situazioni transfrontaliere. Inoltre non viene registrata alcuna specifica attività nel riconoscimento della famiglia anche per le persone dello stesso sesso che, seppur unite civilmente, ancor oggi si vedono negare l’accesso al matrimonio egualitario, e non si fa menzione alcuna dell’istituto della filiazione.
Fatta questa precisazione, possiamo comunque accogliere con favore l’iniziativa, se non altro come base di intenti: una lotta contro le discriminazioni dettate da orientamento sessuale e identità di genere in ambito lavorativo, socio-sanitario, educativo e culturale è fondamentale e imposta dall’art. 3 della Costituzione. Importante anche la previsione di un monitoraggio statistico e, soprattutto, le attività di contrasto ai fenomeni e alle discriminazioni dettate dall’odio (che la CEDU ha da anni richiamato nelle sentenza A.C. M.C. contro Romania e Lilliendahl contro Islanda).
I dubbi sull’efficacia di questo atto permangono, dal momento che non risulta ancora né formalizzato né adottato. Le domande che tutte le persone della comunità lgbtqia+ , e non solo, si stanno facendo sono: quale può essere l’applicabilità di una simile strategia alla luce delle recenti elezioni? E, probabilmente sulla scia di rammarico per le rivendicazioni escluse, quanto questo testo può essere stato dettato dal voler dimostrare all’ Europa di aver svolto i compiti a casa?