Il maschilismo di dati e linguaggio alla base della piramide dell’odio

da | Ott 16, 2021 | Approfondimenti, Riflessioni e progetti della rete

Nel video: per il ciclo di webinar “Dialoghi in Rete”, abbiamo discusso di “Invisibili. Perché e come gli stereotipi misogini si propagano a partire dal data gender gap e dal linguaggio”. Il webinar si è svolto il 28 settembre 2021 ed è stato realizzato con il contributo dell’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia.

 

a cura di Silvia Brena (Vox Osservatorio dei diritti) e Paola Rizzi (Giulia giornaliste)

L’aveva già messo nero su bianco Simone De Beauvoir, nel lontano 1949, quando scriveva: “L’umanità è maschile e l’uomo definisce la donna non in quanto tale, ma in relazione a se stesso”. In un mondo declinato al maschile, le parole assumono la forma della desinenza in o. E le parole, lo sappiamo, sono importanti per tracciare il racconto che siamo. Così, se mancano le parole per definire i lavori, i bisogni, le caratteristiche delle donne, si finisce per cancellarne l’identità. E quindi si può abusarne.

È la filiera pericolosa della rimozione, quella da cui da qualche tempo si sta cercando di correre ai ripari, con una grande attenzione al linguaggio di genere e alle derive che un linguaggio sessista può rappresentare. La Rete per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio se ne occupa da tempo: alcune delle associazioni che ne fanno parte lo studiano nello specifico, a cominciare da Giulia Giornaliste, che monitora il sessismo e il maschilismo nella comunicazione dei media e da VoxDiritti, che del linguaggio sessista e misogino ha fatto uno dei pilastri della sua ricerca dell’odio online.

Il problema della conoscenza

Ma il linguaggio è solo uno degli aspetti del racconto di una società sessista ed escludente. Molte analisi e molti studi stanno oggi evidenziando che c’è un problema di fondo, quello della conoscenza. In una società declinata al maschile, lo specifico delle donne non viene considerato. E così mancano dati, fonte di conoscenza, sui bisogni, le aspettative, le abitudini delle donne, la loro differenza. Esempi? La medicina di genere. Sintomi, diagnosi, cure sono modellate sul corpo maschile, salvo poi scoprire che i sintomi dell’infarto in una donna sono assai diversi da quelli comunemente considerati segnali di allarme: dolore al petto, al braccio, etc sono segnali che il corpo maschile lancia. Il corpo femminile ne lancia altri: dolore e costipazione alla bocca dello stomaco, dolore alla mascella. Oppure i farmaci: fino a poco tempo fa venivano testati su un individuo standard che, guarda un po’, era un maschio alto un metro e 80 di 70 chili. Lo abbiamo misurato anche recentemente nella pandemia: il diverso impatto della malattia e dei vaccini su donne e uomini, con una ancora incredibilmente lacunosa raccolta di dati differenziata per genere. Del resto la legge che impone la Applicazione e diffusione della Medicina di Genere nel Sistema Sanitario Nazionale è del 2018. Molti altri gli esempi. Ci sono città virtuose, come Barcellona, Parigi, Vienna, che nel costruire il piano dei trasporti hanno tenuto presente la diversa fruizione dei mezzi che uomini e donne hanno, le donne con il loro carico di impegni “multitasking”. Altre, la maggior parte, anche nei piani di mobilità sostenibile non puntano l’attenzione sulla parità di genere. Innanzitutto per mancanza di dati precisi che raccontino come le donne si muovono in città.

Questa asimmetria informativa si chiama Gender data gap. È un tema oggi cruciale, una battaglia più che mai necessaria. Molte le studiose che se ne stanno occupando. Alcune le abbiamo incontrate nel corso di un webinar svoltosi a fine settembre nell’ambito del ciclo Dialoghi in Rete. Da Emanuela Grigliè, giornalista e autrice di Per soli uomini. il maschilismo dei dati dalla ricerca scientifica al design, a Barbara Garavaglia, biologa e responsabile Medicina di Genere Fondazione I.R.C.C.S Istituto Neurologico “C.Besta, da Lilia Giugni, ricercatrice e direttrice del think tank britannico GenPol Gender and Policy Insights, a Milly Tucci data analyst.

Spiegano, le studiose, che non è che i dati non vengano raccolti. Il problema è che non vengono distinti: in gergo si dice disaggregati, vale a dire non vengono differenziati ed evidenziati nel calderone della conoscenza declinata al maschile. Così si finisce, lo abbiamo visto sopra, per confondere i sintomi di un attacco di cuore con un po’ di ansia e costipazione e per nascondere la differenze di genere di una professionista chiamandola avvocato.

La prevenzione spiegata tramite la piramide dell’odio

Non è, ovvio, solo un problema di semantica. È un problema, urgente, di prevenzione e di costruzione di una società più equa. I temi che ricorrono quando si parla di gender data gap sono solitamente tre: il corpo delle donne (e la loro salute); il lavoro delle donne (con il linguaggio che non ne riconosce lo specifico e l’ignoranza sul carico di lavoro non retribuito); e, non da ultimo, la violenza contro le donne. Violenza che, noi della Rete lo sappiamo bene, si declina anche nello hate speech. Trovare le parole per raccontare ed evidenziare la differenza significa iniziare a tracciare un percorso finalmente diverso. A partire dalla conoscenza di dati ed evidenze che le diverse discipline scientifiche ci stanno portando. Lo spiega bene lo schema della piramide dell’odio: il crimine d’odio sta al vertice di una struttura piramidale, gli stereotipi e false rappresentazioni alla base, in mezzo le discriminazioni. Le false rappresentazioni, quelle che cancellano le donne dallo spazio pubblico, si costruiscono a partire dalle parole che nascondono le donne e dai dati che le ignorano. Molto si sta facendo, nel mondo. Ma molto resta ancora da fare. Contributo della Rete, anche in questo caso, è continuare a puntare l’attenzione su questi temi e favorire sinergie e scambi di conoscenze.

 

Per approfondire:

Per soli uomini di Emanuela Grigliè e Guido Romeo, Codice Editore

Invisibili di Caroline Criado Perez, Einaudi Editore