Intervento della Rete contro l’odio alla Commissione Giustizia del Senato sul Ddl Zan
Buon pomeriggio Presidente [della Commissione Giustizia del Senato, n.d.r.], grazie per avermi invitato in audizione, oggi.
Sono Federico Faloppa, sono professore di linguistica presso l’Università di Reading (UK) e da circa vent’anni mi occupo di linguaggio e discriminazione. Sono inoltre uno dei sedici esperti nominati dal Consiglio d’Europa per redigere le nuove raccomandazioni del Consiglio in tema di discorsi d’odio. Oggi sono qui nella veste di Coordinatore della Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio, che qui rappresento e di cui qui mi faccio portavoce.
La Rete per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio include una quarantina di soggetti, tra cui ricercatori e ricercatrici di otto università; ONG nazionali e transnazionali (Action Aid, Amnesty Italia, Cospe, Emergency); associazioni come Arci Nazionale, Articolo 3 di Mantova, Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, Avvocatura per i diritti LGBTI – Rete Lenford, Associazione Carta di Roma, Associazione Giulia Giornaliste, Lunaria di Roma, Vox Diritti di Milano; centri di ricerca e osservatori come il CNR di Palermo, MediaVox dell’Università Cattolica di Milano e l’Osservatorio di Pavia; le Commissioni Pari Opportunità della Federazione Nazionale della Stampa e dell’USIGRAI; il Consiglio Nazionale Forense; tre Fondazioni (Alexander Langer di Bolzano, Fondazione Bruno Kessler di Trento e Fondazione Pangea di Roma), e il movimento transnazionale nato in seno al Consiglio d’Europa No hate speech Movement.
Scopo della nostra Rete è il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio, ma anche il contrasto alla disinformazione che spesso è alla base degli stessi discorsi e fenomeni. Nel mio breve intervento cercherò quindi di chiarire che cosa davvero dice la proposta Zan, evidenziando le fake news che da tempo vengono diffuse ad arte per confondere l’opinione pubblica.
Fin dal titolo, il Ddl è estremamente chiaro sulle sue finalità: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità”.
Qualcuno si è chiesto perché si menzionino solo alcuni “motivi”, e non altri
La risposta è semplice. Perché il codice penale già prevede “motivi” di razza, etnia, nazionalità, religione (articoli 604-bis e ter).
Contrariamente a quanto spesso sostenuto, il Ddl non aggiunge quindi leggi o nuovi articoli di legge nel procedimento penale per punire i crimini d’odio, ma estende le tutele già previste dall’art. 604-bis e ter del codice penale, ovvero introduce sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere, abilismo, a leggi e ad articoli del codice penale e del codice di procedura penale, già esistenti.
Perché si dovrebbero introdurre questi nuovi elementi?
Perché lo prevede l’art. 3 della Costituzione (“Principi fondamentali”), che sancisce l’uguaglianza di tutti i cittadini, anche in riferimento al sesso e alle condizioni personali. E perché lo prevede l’art. 21 della CEDU, vincolante per gli stati membri, che vieta ogni forma di discriminazione, anche quelle fondate sul sesso, sul genere, sull’identità di genere e sull’abilismo.
Altra obiezione sentita spesso, ma infondata:
Se il Ddl Zan diventasse legge, proteggerebbe solo alcune “minoranze”?
Come dice il testo stesso, il ddl propone di intervenire su motivi di sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere, quale che sia la vittima. Intende contrastare infatti anche la misoginia e – se esistesse, e non fosse un’invenzione pretestuosa – contrasterebbe anche la cosiddetta “eterofobia”.
Perché per i reati in oggetto non basta l’aggravante “motivi abbietti”?
Perché chi commette un crimine d’odio, basato su un elemento di discriminazione, palesa una maggiore pericolosità sociale: con l’aggressione vuol punire, discriminare e intimorire non solo un individuo ma anche il suo gruppo sociale. Da qui la richiesta di modificare l’articolo 604-ter del codice penale sulle circostanze aggravanti, estendendole ai reati commessi per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità.
Il Ddl Zan limita la libertà di espressione?
Il ddl Zan intende contrastare atti discriminatori e violenti. Riguarda l’istigazione, ovvero viene punita la parola quando questa istighi a commettere atti violenti. Si potranno continuare a esprimere i pensieri più diversi, salvo che questi non si traducano in atti discriminatori o violenti (e vorrei ben vedere che così non fosse!)
La libertà di espressione viene d’altronde chiaramente garantita dall’art. 21 della nostra Costituzione, richiamato dall’art. 4 del Ddl (“Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”): “Ai sensi della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee e alla libertà delle scelte purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.
Chi dice che si tratterebbe di una legge bavaglio dice il falso
Lo ripeto: la legge punirebbe le aggressioni o i discorsi d’odio quando questi istigassero un’aggressione e tale aggressione costituisse un pericolo concreto, determinato dal discorso d’odio. Detto altrimenti: la parola sarebbe punita quando istigasse al concreto compimento di un crimine con un nesso chiaro e imprescindibile.
Ricordo a questo proposito il caso Lillendahl contro Islanda (2020), in cui la Corte Europea ha sancito che i discorsi d’odio nei confronti delle persone omosessuali non rientrano nella libertà di espressione protetta dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti umani e delle libertà fondamentali.
Ebbene, il ddl Zan è perfino più cauto rispetto alla Corte Europea dei Diritti Umani, perché sanziona il discorso solo quando questo palesa direttamente un reato già previsto dalle nostre leggi penali.
Il Ddl Zan introduce un’ideologia gender nelle scuole?
Assolutamente no. L’art. 7, “Istituzione della giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia” non introduce affatto – come erroneamente si sente dire, ricorrendo a un’espressione vuota e pretestuosa – una supposta “ideologia gender” nelle scuole.
Chiede invece alle scuole e alle amministrazioni pubbliche di promuovere “la cultura del rispetto e dell’inclusione” nonché di “contrastare i pregiudizi, le discriminazioni e le violenze motivati dall’orientamento sessuale e dall’identità di genere“, in attuazione dei princìpi di uguaglianza e di pari dignità sociale sanciti dalla Costituzione.
Propone inoltre di elaborare una strategia per la prevenzione e il contrasto alle discriminazioni legate al sesso, al genere, all’identità di genere “nel quadro di una consultazione permanente delle amministrazioni locali, delle organizzazioni di categoria e delle associazioni impegnate nel contrasto delle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, e volta a individuare specifici interventi per prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni di violenza e discriminazione fondati sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere”.
Verrà modificata la struttura dei centri anti-violenza per le donne?
No, perché l’art. 9 (Modifica all’articolo 105-quater del decreto- legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77), chiede di introdurre centri antiviolenza specializzati in orientamento sessuale e identità di genere, così come già esistono – appunto – centri antiviolenza nel caso di violenza contro le donne.
C’è necessità di questa legge?
Persone trans, omosessuali, donne, e persone con disabilità non sono già adeguatamente protetti dall’ordinamento esistente?
C’è assolutamente bisogno di questa legge! Basta scorrere le notizie di cronaca per avere evidenza dei quotidiani attacchi contro le persone trans, omosessuali, donne, persone con disabilità, e della loro frequente impunità. Evidentemente, l’ordinamento esistente non protegge ancora in modo adeguato queste persone.
Inoltre, proprio per avere un quadro reale e completo e per verificare l’efficacia dell’intervento normativo, l’art. 10 della proposta Zan prevede – finalmente! – un monitoraggio sistematico di tutte le discriminazioni, dotando anche l’Italia di uno strumento di rilevazione ancora mancante.
Come Rete nazionale per il contrasto ai discorsi e ai fenomeni d’odio ci auguriamo che dopo diciassette anni di tentativi, e dopo che due proposte di legge contro l’omofobia furono sottratte al dibattito parlamentare durante la XVI legislatura, nel 2009 e nel 2013, finalmente anche l’Italia accolga le raccomandazioni delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa in materia di contrasto alle discriminazioni, e si doti di strumenti e di strategie adeguate sia nella promozione di una cultura del diritto a tutela di tutte le persone (come richiesto dalla nostra Costituzione) e a sostegno delle vittime (come richiesto dalla direttiva Vittime dell’Unione Europea) sia nella prevenzione dei crimini d’odio come risposta ferma e duratura al culto della violenza e alle prassi discriminatorie.
In chiusura, vorrei ricordare la sentenza CEDU nel caso M.C. e A.C. contro Romania (2016), che stabilisce che dove i diritti fondamentali delle persone sono in gioco le leggi penali devono essere adeguate, e la mancanza di tale adeguamento è una compartecipazione dello Stato nel reato.
Proprio per evitare che lo Stato italiano sia compartecipe di reato, vorremmo vedere presto un adeguamento nel nostro sistema penale, così come richiesto dall’Unione Europea e dal Consiglio d’Europa.