La ricerca ha analizzato i profili social di circa quaranta giornalisti e giornaliste nel periodo da marzo a settembre 2020. Un gruppo di volontarie e volontarie delle due associazioni si sono occupati di analizzare Facebook, mentre per Twitter i ricercatori hanno utilizzato il software di sentiment analysis già usato per la Mappa dell’Intolleranza.
I risultati
Per quanto riguarda Twitter, il focus ha rilevato che nei profili presi in esame il numero di post con linguaggio discriminatorio o d’odio è superiore alla metà (57,51%) del totale dei tweet rilevati, diversamente da quanto rilevato a livello generale nella Mappa, dove i tweet negarivi sono il 43%. Segno che nel periodo preso in esame i/le giornalisti/e sono stati odiati di più. I post discriminatori o offensivi in gran parte sono rivolti o sono risposte ai commenti di giornaliste/i esposti pubblicamente da un punto di vista culturale e politico, o impegnati su temi sensibili, come l’immigrazione, e proprio per questo scelti come bersaglio del linguaggio d’odio.
È tuttavia dall’analisi specifica dei profili social delle giornaliste che emergono i dati più interessanti.
I tweet rivolti alle giornaliste infatti, seppure di numero inferiore rispetto a quelli indirizzati ai loro colleghi maschi, si indirizzano meno sul contenuto e più sull’attacco personale. Un linguaggio d’odio e discriminatorio quello rivolto alle giornaliste, che spazia dal body shaming alla presunta incompetenza professionale, alle caratteristiche personali e di carattere. Un vero e proprio accanimento contro le donne che lavorano, come già evidenziato dalla rilevazione sulla misoginia della Mappa dell’intolleranza 5.0.
I mesi del 2020 in cui si sono concentrati gli attacchi sono la metà di aprile e maggio, e cioè quelli che corrispondono all’emergenza coronavirus. Come spesso avviene, la recrudescenza del linguaggio d’odio e del clima di intolleranza si è verificato in un periodo di forte stress sociale, di incertezza e di paura.
Da notare che le giornaliste non vengono aggredite verbalmente solo con la modalità del body shaming, ma viene colpita anche la loro professione o professionalità.
In che modo si differenziano i linguaggi d’odio espressi con Twitter e Facebook?
In Twitter i post risultano più aggressivi, anche con uso di insulto e meno sfumati, a causa del minor numero di caratteri messi a disposizione dalla piattaforma per i post.
In Facebook d’altro canto i post sono più difficili da catalogare come linguaggio d’odio, se non inseriti in un contesto semantico.
Educare all’inclusione e combattere la discriminazione sono i due pilastri su cui si basano le buone pratiche di contrasto ai discorsi d’odio. Oggi appaiono più che mai necessarie policy e azioni mirate contro la discriminazione, oltre alle pratiche che educhino a un uso più consapevole dei social anche i giornalisti stessi.