Nel rapporto “Le parole che fanno male – L’hate speech politico in Italia nel 2018”, scritto nell’ambito del progetto Words are Stones, l’associazione Lunaria ha analizzato il discorso d’odio, in collaborazione con le associazioni internazionali Adice, Antigone, Grenzelos, Kisa e Sos Racisme.
L’hate speech, permeato di pregiudizi e stereotipi razzisti nei confronti di immigrati e rifugiati, è un fenomeno sempre più diffuso nella comunicazione politica e spesso sfocia in attacchi e reati xenofobi.
Dichiarazioni discriminatorie e messaggi razzisti non sono certo un problema recente nel dibattito pubblico. Tuttavia lo sviluppo delle nuove tecnologie ha amplificato e reso virali espressioni di violenza verbale che prendono di mira gruppi di persone o singoli, individuati come “diversi” per nazionalità, origine, tratti somatici, appartenenza religiosa o politica, genere, stato di abilità.
Lo studio ha individuato in particolare tre cambiamenti principali provocati dalla diffusione delle nuove tecnologie:
- Non sono più pochi e potenti mezzi di informazione a produrre le notizie, bensì milioni di persone tramite i social network
- Le informazioni sono cresciute in quantità esponenziale ma sono libere solo in apparenza, poiché a decidere la loro visibilità intervengono gli algoritmi dei social network e dei motori di ricerca
- Il sistema di informazione si sta polarizzando sempre più, creando una dicotomia tra opposti – amico/nemico. Bolle informative imprigionano gli utenti, escludendo opinioni diverse e non coerenti con il loro profilo.
La polarizzazione caratterizza sempre più nel periodo esaminato anche il dibattito politico, le cui strategie comunicative tendono troppo spesso, per acquisire consenso, a ricorrere a toni violenti e alla costruzione di capri espiatori. Anche qui riscontriamo una rappresentazione binaria della società, con gli “altri”, i gruppi e le persone più deboli, contrapposti al gruppo dominante i cui interessi vorrebbero essere tutelati riducendo e negando diritti ai primi.
La propaganda di idee razziste e l’istigazione a compiere atti discriminatori sono reati perseguiti dalla legge italiana, ma finora la normativa in Italia ha trovato scarsa applicazione, soprattutto per quanto riguarda l’hate speech di natura politica. Tra le varie motivazioni, emerge la consapevolezza diffusa che l’hate speech non possa essere combattuto solo sul piano giudiziario.
Per contrastare questi fenomeni emerge la necessità di una strategia che coinvolga tutti i soggetti interessati (le vittime, le organizzazioni antirazziste, il sistema dei media, le istituzioni nazionali e locali, le forze dell’ordine, la magistratura, le scuole e le università, i partiti) in un piano di attività di monitoraggio, sensibilizzazione, informazione, formazione.
Lo studio di Lunaria documenta un monitoraggio qualitativo dei discorsi d’odio, dei quali individua le caratteristiche principali e gli argomenti ricorrenti.“Fermiamo l’invasione”, “Costano troppo”, “Clandestini delinquenti”, “Agli italiani la strada, agli immigrati la casa”, “Ci stanno istigando al suicidio culturale”: ognuna di queste affermazioni razziste e xenofobe viene decostruita punto per punto con una contronarrazione.
La narrazione alternativa, il fact-checking, il debunking può contrastare efficacemente la retorica delle destre contemporanee. Gli argomenti razionali da soli tuttavia non bastano a depotenziare l’effetto del discorso razzista e xenofobo su un pubblico poco attrezzato nel distinguere le notizie vere da quelle false, ma vanno affiancati a iniziative volte a promuovere una corretta informazione e a campagne di sensibilizzazione e interventi di media education.
Download – Lunaria: “Le parole che fanno male L’hate speech politico in Italia nel 2018”